busti.txt (da internet) (gabriele.lucchni, 2018-09-21) Sale della Comunità [STAMPA] Verso il 60° dell'ACEC Convegno a Milano A cura dell'Ufficio diocesano Comunicazioni sociali e della delegazione diocesana dell'ACEC (associazione cattolica esercenti cinema), il 4 ottobre a Milano presso la Sala convegni della Curia arcivescovile, si è tenuto un convegno sul tema: "Da don Gaffuri, prete del cinema, al 60° dell'ACEC" Sono intervenuti: Don Davide Milani (Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Milano, Paolo Fossati ( Docente Università Cattolica di Brescia), Mons. Francesco Ceriotti ( Presidente Fondazione Comunicazione e Cultura), S. Ecc. Mons. Roberto Busti (Vescovo di Mantova e Presidente ACEC), Francesco Giraldo (Segretario Generale ACEC). Moderatore: Mons. Dario E. Viganò (Delegato ACEC della Diocesi di Milano e Vicepresidente Vicario ACEC). Scarica il Programma http://www.acec.it/pls/acec/v3_s2ew_consultazione.mostra_paginawap?id_pagina=1452 VERSO IL 60° DELL?A.C.E.C. - intervento di S. Ecc. Mons. Roberto Busti Il mandato affidato dall'Episcopato alla nuova Associazione configurava allora questa come una organizzazione simile, in parte, ad una associazione di imprenditori e, in parte, ad una organizzazione sindacale. L'ACEC, infatti, doveva rappresentare gli interessi morali e materiali degli esercenti delle sale associate anche nei confronti delle Amministrazioni dello Stato; assicurare ai soci i servizi di consulenza e di assistenza; promuovere intese con l'esercizio cinematografico commerciale e con l'industria cinematografica. Compiti non proprio rigorosamente ecclesiali. Nel corso degli anni questo mandato originario si è arricchito di nuovi contenuti, sollecitati peraltro dalla particolare fisionomia dei soci dell'ACEC i quali, in quanto sacerdoti, sentivano l'esigenza di qualificare pastoralmente la loro presenza nel mondo del cinema. Cominciava così quella lenta metamorfosi dell'ACEC che, già alla fine degli anni '50, apriva nuovi orizzonti sia sul versante pastorale sia su quello culturale e preparava l'Associazione alla grande svolta ecclesiale del Concilio Vaticano II. Il I Congresso Nazionale, celebrato a Roma nel 1964, mentre era ancora in corso il Concilio, trovò nelle parole di Paolo VI, che invitava i soci dell'ACEC a farsi da "gestori educatori", la spinta autorevole a sviluppare con ritmo accelerato le nuove linee di politica culturale e pastorale. La visione unitaria degli strumenti di comunicazione sociale, suggerita dal Concilio e dalla riflessione culturale e pastorale successiva, portava l'ACEC ad allargare la sua area di interesse al di là del cinema, mentre si faceva strada l'idea della sala non come "appendice" ma come complemento al tempio, cioè come strumento di azione pastorale integrata alla pari nel concerto di tutti gli altri strumenti di azione pastorale. L'ecclesiologia di comunione riscoperta dal Concilio metteva in luce la realtà della comunità cristiana e la sua funzione di lievito, di sale e di luce nella comunità umana locale. L'idea della "sala della comunità", luogo e spazio di incontro, di testimonianza, di dialogo, di confronto con la realtà specularmente riflessa dagli strumenti di comunicazione sociale, nasceva e si affermava già alla fine degli anni '60, e l'ACEC modificava gradualmente la sua fisionomia inserendosi nei mutamenti socio-culturali e nel processo di rinnovamento ecclesiale determinato dal Concilio. Nel 1969, fu celebrato il 2° Congresso dell'ACEC che indicò le nuove linee direttrici della politica dell'ACEC contenute in uno slogan, che era poi il tema del congresso: "La sala della comunità: una dimensione nuova". Questa trasformazione e il nuovo ruolo dell'ACEC nella Chiesa hanno trovato autorevole legittimazione nella prima "Nota pastorale" della CEI del 1982 su "Le sale cinematografiche parrocchiali" e nel discorso rivolto da Giovanni Paolo II, il 24 magio 1984, ai partecipanti al IV Congresso nazionale dell'ACEC. Disse allora il Papa: "Avete accolto e valorizzato così nelle vostre sale gli strumenti della comunicazione sociale, offrendo alle popolazioni, tra le quali voi operate pastoralmente, una gamma di occasioni per ritrovarsi, per comunicare, per entrare in comunione e costituire comunità. Le vostre sale sono diventate così propedeutiche al tempio, punto di riferimento e di interesse anche per i lontani, servizio al Popolo di Dio, ma anche a tutti i figli di Dio ovunque dispersi. Mi rallegro cordialmente con voi per questo vostro ministero ed auspico che la "sala della comunità" diventi per tutte le Parrocchie il complemento del tempio, il luogo e lo spazio per il primo approccio degli uomini al mistero della Chiesa e, per la riflessione dei fedeli già maturi, una sorta di catechesi che parta dalle vicende umane e si incarni nelle "gioie e nelle speranze, nelle pene e nelle angosce degli uomini di oggi, soprattutto dei più poveri materialmente e spiritualmente". La seconda "Nota pastorale " della CEI su "La sala della comunità, un servizio pastorale e culturale", che reca la data del 25 marzo 1999, mentre conferma e rafforza il ruolo specifico dell'ACEC, è anche un richiamo ed una sollecitazione a un rinnovato impegno nel campo della pastorale e della cultura. Una presenza capillare In un articolo di fondo di Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera dell?8 agosto u.s. dal titolo ?La modernità della Chiesa? l?autore delinea tre capisaldi attorno ai quali la Chiesa Italiana stia lentamente innovando le proprie linee di presenza e di azione, coltivando tre prospettive che avranno peso crescente nella vita sociale e nei destini collettivi del nostro Paese: l?insediamento sempre più significativo nel territorio, per «fare anima» nella vita delle comunità locali; l?attenzione privilegiata ai giovani ed ai loro delicati problemi di identità; la ricerca di una pur difficile sintesi fra richiami forti al valore del «sacro» ed altrettanto forte impegno nel «santo», cioè fra il legame con il mistero divino e l?immersione della fede nella dinamica sociale. Il primo impegno riguarda la conferma e progressiva intensificazione della presenza comunitaria. Di tutte le istituzioni oggi operanti in Italia la Chiesa è quella che più presidia il territorio, con la diffusa attività di parrocchie, case religiose, movimenti, associazioni, centri di volontariato, ecc... Tra le varie realtà ecclesiali radicate nel territorio esistono anche le sale della comunità. La sala della comunità è una realtà le cui radici sono profondamente e capillarmente innestate nel contesto sociale e culturale del nostro paese e che si configura come importante polo di promozione di cultura e di valori. Il 60% delle oltre 1000 sale della comunità sono presenti in comuni con meno di 10.000 abitanti e la gran parte (oltre il 23,14%) hanno alle spalle quasi cinquant?anni di vita. Solo nella Diocesi di Milano si contano quasi 200 sale della comunità che garantiscono una qualificata azione pastorale e culturale in vari contesti territoriali. Le sale della comunità, che si connotano anche per la polivalenza della loro attività, ?svolgono un?azione pastorale e culturale di ampio respiro, che coinvolge tutte le componenti della comunità ecclesiale e si rivolge, attraverso le varie forme della comunicazione sociale, anche a coloro che sono lontani dalla fede, ma mostrano interesse per i grandi temi dell?esistenza umana? (Nota pastorale della CEI ? 1999). Così De Rita continua nel suo articolo: ?Ancora in passato è anche capitato che tali strutture siano state mobilitate su temi di politica ecclesiastica o di politica tout-court; ma i soggetti in esse operanti (dai parroci ai quadri associativi) privilegiano ormai il rapporto con la comunità locale e con i suoi concreti problemi di evoluzione della vita collettiva e del tessuto umano. Si faccia o non si faccia il federalismo, questa è una società dichiaratamente localistica: nei borghi storici come nei distretti industriali come nelle cinture di espansione urbana. In alcune di queste realtà locali c?è già «anima», una coesione sociale cioè capace di innervare comportamenti di iniziativa e di responsabilità; in altre, più confuse e sconnesse, si tratta di costruirla per non cadere nell?orribile indistinto abitativo che già stiamo sperimentando in alcune regioni. Se si parla con tanti vescovi, si capisce che proprio in tale intendimento comunitario sta la base della loro ansia pastorale. Nell?inesistenza territoriale di tanti altri soggetti, la Chiesa sta quindi diventando la struttura che considera la vita locale e la sua dinamica come strutture portanti di una più complessa evoluzione della società; ed è su tale opzione, e non nei meandri della opinione di massa, che si svolgerà la competizione con tutti gli altri soggetti sociopolitici?. L?immagine che emerge della sala dall?analisi della sua storia, della sua organizzazione interna, della sua offerta e del suo rapporto con il pubblico e con il territorio è duplice. Per un verso la SdC è a tutti gli effetti un ?limen? il luogo in cui nasce la ?communitas?; uno spazio di confronto e di contrattazione, una soglia che fa accedere a una esperienza che si qualifica e si distingue in ragione della sua capacità di porsi in dialogo e di interagire con il resto dell?esperienza di vita degli spettatori; e un?interfaccia fra soggetti che faticano a comunicare (ad esempio istituzioni pubbliche e popolazione) e che la sala concorre a familiarizzare. I tratti distintivi della sala come ?limen? sono la riconoscibilità unita alla permeabilità (la SdC è uno spazio aperto alle sollecitazioni che provengono dall?esterno, ma capace di non perdere in identità); la disponibilità a ospitare processi di metabolizzazione e di incorporazione delle istanze espresse dal contesto sociale all?interno di un determinato sistema di valori (di cui la Parrocchia è emblema, fisicamente e simbolicamente prossimo alla SdC). Si tratta quindi da questo punto di vista, di uno spazio capace per sua natura di radicare il rapporto con il territorio (inteso sia come risorsa che come utenza) e di inserire questa apertura al territorio all?interno di una dinamica comunitaria specifica, percepita però in modo integrato rispetto al piano della parrocchia. Oltre il concetto di limen per la sala della comunità è sicuramente illuminante anche l?idea di ?confine?. Desiderare di sconfinare in un altrove, saper guardare oltre la ?siepe, che da tanti orizzonti il guardo esclude?, osare far ?naufragare? lo sguardo nell?infinito e nello sconosciuto, può certo includere il rischio di uno smarrimento, di una perdita. Ma rimanere al di qua, non affacciarsi mai all?aperto lo si può fare solo se si sceglie di rimanere chiusi dentro la prigione del tempo: sempre uguali a noi stessi, immobili, a fissarci come in uno specchio. Il presente della sala della comunità, per essere vissuto pienamente, si deve nutrire anche di attese e di apsettative. Il respiro del tempo deve rinascere in ciò che è stato e muovere verso ciò che verrà per dare alimento a ciò che accade nell?istante. Per questo, se vogliamo cogliere il segno dei tempi e inserire le nostre sale in questa virtuosa dinamica, dobbiamo saper sviluppare una mobilità mentale capace di comprendere che la storia non ha gli stessi tempi ovunque. Appunto perché la sala della comunità non è una linea marcata a fuoco sulla crosta dell?essere personale e sociale, ma qualcosa di più mobile ed instabile. La sala come confine è un ?luogo fecondo?: per conoscere il proprio tempo e la propria storia, per guardare al modo di rapportarsi degli esseri umani tra loro, e, da ultimo, per guardare oltre il limite di ciò che arriviamo a comprendere, per guardare a quel luogo che alcuni chiamano Dio e altri il ?senso? del mondo e della vita umana. A conclusione di questo mio intervento, che segue altri interventi dedicati alla nobile figura di don Giuseppe Gaffuri, mi preme sottolineare che la vitalità dell?ACEC, di cui celebreremo nel 2009 il 60° anniversario di costituzione, è dimostrata, anche nella Diocesi di Milano, dallo zelo e dall?impegno di chi è chiamato a svolgere compiti associativi istituzionalmente impegnativi. L?occasione di questo Convegno mi offre l?opportunità di dare notizia del cambio di guardia al vertice della Delegazione ACEC della Diocesi di Milano: a Mons. Dario E. Viganò succederà don Davide Milani. Mons. Viganò, che è stato Delegato diocesano ACEC di Milano dal 1992 ad oggi, si è speso molto bene in questi anni a favore delle sale della comunità e ha portato un rinnovato interesse per l?attività cinematografica e multimediale nella Chiesa milanese. Come don Gaffuri, anche lui è un convinto assertore dell?uso del cinema quale formidabile veicolo educativo e pastorale. Il suo lavoro a Milano ha messo in luce, unitamente ad una sensibilità pastorale e culturale, le sue indubbie doti di profondo conoscitore del mondo mediatico. La sua personalità e il suo valore hanno richiamato l?attenzione della CEI, la quale gli ha affidato l?incarico, all?interno dell?Ufficio Nazionale delle Comunicazioni Sociali, di responsabile per il settore cinema e spettacolo, incarico che tuttora ricopre unitamente a quello di Preside dell?Istituto ?Redemptor Hominis? presso la Pontificia Università Lateranense e di Presidente della ?Fondazione Ente dello Spettacolo?. Nell?ACEC, attualmente, ricopre la carica di Vice Presidente Vicario e dirige i corsi annuali di formazione per operatori pastorali e culturali e le due riviste ?Itinerari Mediali? e Nostro Cinema?. Il suo incarico nella CEI ha avuto riflessi benefici sull?ACEC, la cui considerazione presso l?Episcopato italiano è accresciuta ed ha avuto come prova concreta la emanazione nel 1999, della nota pastorale su ?La sala della comunità: un servizio pastorale e culturale? A Mons. Viganò va tutto l?apprezzamento e la gratitudine dell?ACEC sia per il prezioso lavoro svolto nella Diocesi di Milano, sia per l?impegno che lo vede legato all?ACEC nazionale anche nella prospettiva delle future sfide che la stessa ACEC dovrà affrontare in campo tecnologico e pastorale. A don Davide Milani esprimo un augurio affettuoso e rivolgo un caloroso invito a proseguire, con la stessa dedizione e lo stesso entusiasmo del suo predecessore, il lavoro di consolidamento e di promozione delle sale della comunità nella Diocesi di Milano.