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..da Prima Pagina - Domenica 02 Settembre 2001


PARTE LA SCUOLA
LA POLITICA DEL PENSARE IN GRANDE



Giuseppe Savagnone



Mentre si fa sempre più vicino il momento in cui gli alunni rientreranno in classe, per l'inizio dell'anno scolastico, nel cantiere scuola fervono frenetici i lavori per consentire che questo inizio si svolga nel modo più corretto possibile. Solo a un osservatore superficiale l'attuale momento, apparentemente interlocutorio, potrebbe apparire di routine, o addirittura secondario. In realtà, è come in un teatro: lo spettacolo non comincia con l'ingresso del pubblico in sala, né con quello degli attori sul palcoscenico. È necessario un lungo e attento lavoro di preparazione, dalla cui accuratezza e lungimiranza dipende il successo dell'evento scenico vero e proprio.
Ora, molti si fermano a considerare, discutere e criticare gli aspetti più specificamente culturali e didattici della scuola, che sono certamente fondamentali, ma che non devono far dimenticare la complessità del lavoro burocratico che sta alle spalle dell'impresa educativa e la fondamentale importanza che esso riveste per la sua riuscita.
Ne sono testimonianza i guasti prodotti, nel passato, dai tradizionali ritardi nelle nomine degli insegnanti, col conseguente avvicendarsi di supplenti fino ad inverno inoltrato e l'inevitabile frammentarietà del lavoro scolastico. Quest'anno, poi, il problema si presentava fin dall'inizio particolarmente arduo. Intanto perché si trattava, fra l'altro, di "sistemare" le migliaia di nuovi docenti vincitori del concorsone da poco concluso. Ma anche perché veniva messo alla prova il nuovo assetto burocratico varato con la riforma Berlinguer, per cui l'apparato dell'amministrazione scolastica fa capo ormai, in ogni regione, a un direttore regionale.
Si capisce, allora, perché il nuovo ministro della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, abbia voluto fare del regolare avvio dell'anno scolastico un banco di prova della sua linea politica, volta a coniugare il mantenimento del patrimonio culturale del nostro sistema educativo con una maggiore efficienza. E si capisce anche il clima di soddisfazione, negli uffici di viale Trastevere, per la piena riuscita dell'"operazione cattedre" entro la scadenza prevista del 31 agosto.
Tutto a posto, dunque? L'ondata di proteste che da varie parti si leva in questi giorni, per le modalità con cui è avvenuta l'assegnazione dei posti, ci mette in guardia - e dovrebbe mettere in guardia anche il ministro - dalle facili illusioni. Se è vero che, in termini quantitativi, il successo è incontestabile (e di esso bisogna esser grati a tutti coloro che hanno contribuito a realizzarlo), i forti malumori serpeggianti sono il sintomo che qualcosa non funziona ancora sul piano della qualità delle procedure.
In realtà, l'assegnazione dei posti ai nuovi docenti ha continuato ad essere funestata da meccanismi perversi, soprattutto legati al gioco delle rinunzie (di chi, per esempio, abbia vinto contemporaneamente due concorsi). Uno degli effetti di questa situazione è che numerose cattedre sono state messe a disposizione degli aspiranti professori solo in un secondo tempo, quando già molti di loro - magari con maggiore punteggio e quindi più avanti in graduatoria - erano stati costretti ad accontentarsi di posti meno ambiti (più lontani da casa, in scuole meno gradite, ecc.).
È un esempio della mancanza di certezza - ma anche di giustizia - che ancora caratterizza l'attuale sistema di nomina dei professori. Se a questo si aggiunge che, in nome della continuità didattica, questi ultimi non potranno chiedere trasferimento prima di tre anni, restando così inchiodati per tale periodo di tempo a una situazione di lavoro non voluta e magari sentita come ingiusta, si comprende l'esasperazione di molti dei nuovi insegnanti. E questo non è un dato trascurabile, in un sistema scolastico dove il ruolo dei docenti richiede una sempre maggiore creatività e un sempre maggiore spirito di collaborazione.
Se veramente si vorrà rendere più funzionale il sistema dell'assegnazione dei posti, non può bastare il rispetto formale delle scadenze: è sul meccanismo nel suo complesso che bisogna avere il coraggio di intervenire. Niente è ineluttabile, nemmeno le disfunzioni della nostra scuola. Le regole contenute in una miriade di decreti amministrativi, regolamenti, circolari, non sono scritte nelle stelle e possono quindi essere cambiate, anche se a parecchi funzionari sarebbe molto difficile farlo capire. Urge una gigantesca opera di semplificazione e di razionalizzazione, che però non ci si può illudere di realizzare mantenendo il vecchio quadro normativo. E' su questo aspetto qualitativo - e non solo su quello quantitativo (di cui pure non va sottovalutata l'importanza) - che bisogna agire in tempo, in vista del futuro.
Bisogna però esser consapevoli che questo comporta la rinunzia, da parte di tutti, a degli schemi mentali consolidati. Non si può volere che tutto cambi, e protestare appena si tenta di fare qualche passo in questa direzione. Le aspre polemiche suscitate dalla sola possibilità di introdurre una certa discrezionalità nella scelta dei supplenti, da parte dei dirigenti scolastici - sulla base, evidentemente di regole ben chiare, che escludano ogni forma di arbitrio e di favoritismo - , sono un esempio della contraddizione a cui ci riferiamo. L'autonomia, che tutti diciamo di volere, è in realtà ancora un po' troppo avanti rispetto alla mentalità consolidata di molti. Le regole, ripetiamo, ci vogliono. Ma se non riusciamo a entrare nella logica di una certa flessibilità, rischiamo di restare in quella del vecchio monolite burocratico di una volta. Gli esperimenti possono avere esito negativo, questo è chiaro. Ma vale la pena di rischiare. E per rischiare - questo auguriamo al ministro di saper fare - bisogna provare a pensare in grande.
Giuseppe Savagnone

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