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1. Le cose che mi propongo di dire in questo articolo
sono così note, tanto spesso ripetute da quanti si occupano di pedagogia e
di didattica, che sento forte il bisogno di giustificare la convenienza
del mio discorso. Infatti ci sono delle verità che strappano quasi da
ognuno qualche omaggio teorico, ma che sviluppate nelle loro conseguenze o
addirittura messe in pratica, appariscono talvolta sotto una luce
impensata, come concezioni nuove ed ardite, o peggio come paradossi
imbarazzanti e pericolosi.
A questo numero, se non m'inganno,
appartiene la verità, tonte volte conclamata, che l'insegnamento non può
essere un regalo che il maestro faccia a qualcuno che viene ad ascoltare
le sue ben tornite lezioni (che, se sta disattento, merita di essere
rimproverato per la sua ingratitudine!); ma è piuttosto un aiuto a chi
voglia imparare da sé e però sia disposto, anziché a ricevere
passivamente, a conquistare il sapere, come una scoperta o un prodotto del
proprio spirito. Dico aiuto ai discepoli di buona volontà, senza escludere
che questa stessa volontà venga stimolata e quindi fortificata dall'
insegnante che, coll'esercizio graduato, riesce ad educare le attività
spirituali, mostrandone il successo possibile. Chi metterebbe in dubbio la
semplice verità sopra enunciata? Scolari che non vogliono apprendere, voi
lo sapete o maestri !, non si correggono con rimproveri o castighi : tutt'
al più questi possono distogliere un momento l'allievo da altro oggetto
che solleciti la sua attenzione, farlo rientrare in sé, ascoltare,
meditare; ma tutto ciò è affatto inutile se nello stesso momento non si
riesca a suscitare nella sua mente un più alto interesse, capace di
muoverla.
Pure quella verità elementare viene talvolta dimenticata,
e nelle discussioni teoriche sull'insegnamento, e nella pratica della
scuola.
2. Quando, per esempio, si
discute dei fini dell' insegnamento, contrapponendo uno scopo
utilitario a uno scopo formativo, ovvero quando si tratta del
valore delle Matematiche come mezzo ad educare l' intuizione o la
logica, mi pare che la veduta dinamica dello spirito non sia sempre
presente davanti agli occhi.
Infatti la controversia
sull'utilitarismo - tutta assorbita dalla più o meno stretta misura della
scienza in rapporto alle applicazioni pratiche - perde di vista che,
finalmente, la cosidetta applicazione di una verità scientifica implica
pure una capacità applicativa, che la vita domanda appunto di
formare. E la polemica antiutilitaria di coloro che esaltano il
valore artistico della scienza, come valore in sé, disconosce a sua volta
che l' interesse pratico (nella vita degli individui come nella storia
delle società) può ben creare gli oggetti cui si volgerà la contemplazione
artistica, quand' anche si ammetta che questa risponda ad una tendenza
originaria della psiche anziché ad un sentimento secondario suggerito da
motivi pragmatici. Voglio dire che, se in un certo senso ogni scuola
professionale è anche - in qualche grado e modo - formativa, per contro la
scuola più eminentemente formativa deve sapersi valere delle applicazioni
pratiche, per suscitare l'interesse dei discepoli meno sensibili alla
bellezza della teoria astratta, ed anche per educare l'abito a riconoscere
l'astratto nelle particolari esemplificazioni concrete, posto che la
nostra scuola non debba servire agli abitanti dell'isola di Laputa!
3. Anche la domanda consueta, se le
Matematiche debbono educare piuttosto l' intuizione o la
logica, è viziata per una imperfetta visione del valore
dell'insegnamento. Infatti il presupposto di codesta domanda è che logica
ed intuizione si lascino separare come facoltà distinte dell'intelligenza,
laddove esse sono piuttosto due aspetti inscindibili di un medesimo
processo attivo, che si richiamano l'un l'altro.
Odo spesso
lamentare che l'intelligenza dei giovani discepoli, sufficientemente atta
a comprendere le conoscenze intuitive, repugna dalla logica; onde taluno
ne trae che importa dunque correggere il difetto, con un insegnamento
rigoroso dei principii, sia dell'aritmetica, sia della geometria. Non si
affaccia l'idea che un' educazione logica (anzi la più appropriata alle
menti poco disposte ad astrarre) è pur contenuta nell'esercizio
dell'intuizione, quando questa venga messa alla prova facendo
lavorare il discepolo. Cosi, per esempio, la costruzione di una
figura geometrica, importa - non solo - l' attitudine a vedere
passivamente un modello che si metta sott' occhio allo studioso, ma anzi
la capacità di foggiare - come oggetto della fantasia - un modello
possibile, cui s'impongono, a priori, talune condizioni: ed una tale
attività costruttiva che ordina i dati di osservazioni ed esperienze
passate, non è pura fantasia o fantasticheria, sciogliente il freno al
libero giuoco delle associazioni d'idee, bensì vera attività logica. Per
il qual motivo, soltanto un forte, spirito logico - un Edgard Poe, un
Verne o un Wells - può creare romanzi fantastici in cui si mantenga la
coerenza d'ipotesi lontano dalla realtà !
Scelgo come secondo
esempio, la "messa in equazione", cioè la traduzione in termini algebrici
o aritmetici, dei problemi di geometria e di fisica; e non ho bisogno di
rilevare l'importanza dell'argomento, che costituisce uno scopo essenziale
dell' istruzione matematica.
Ora, se tanti giovani non riescono a
superare questa difficoltà diremo che difettano di intuizione o di
logica?
Non sarebbe facile rispondere, e prima di tutto dobbiamo
domandarci, se e come all' allievo fu fatto comprendere che cos'è
l'equazione di un problema. Non metto in dubbio l'insegnante abbia
lungamente spiegato quest'argomento; ma quand'anche l'allievo sia reso
capace di ripetere la spiegazione, non basta ancora per dire che l'abbia
compresa, giacché comprendere significa divenir atti ad applicare:
e tale attitudine si svolge solo come frutto di un lavoro
attivo.
Di nuovo, domanderemo, questo lavoro fa appello alle
facoltà intuitive o alle facoltà logiche dell'intelligenza? Ma l'analisi
non riesce ad isolare ciò che resta immancabilmente muto nella vita dello
spirito. Infatti, se si riflette che applicazione della regola significa
deduzione dal generale al particolare, si è tratti a riguardare
l'esercizio anzidetto come un atto del pensiero Iodico ; ma per contro, se
si bada che la nostra applicazione importa un modo di figurare la realtà,
cogliendo certe analogie onde le immagini foggiate si lasciano ridurre
sotto la specie di noti concetti, riesce difficile disconoscere che si
tratta anche di lavoro della fantasia.
4. Qui mi assale il dubbio che la concezione della logica, supposta
nei precedenti giudizii, non si accordi con quella del lettore; il quale,
perciò, stenti a comprendere il valore dei miei argomenti. E pertanto mi
occorre dichiarare che la logica comprende più aspetti che di solito non
si abbiano in vista dagli insegnanti di matematiche. Vi è, se cosi è
lecito esprimersi, una logica in piccolo ed una logica in grande: intendo
l'analisi raffinata del processo del pensiero esatto (quasi la veduta
microscopica degli elementi che formano il tessuto della scienza), e - per
contro - lo studio delle connessioni organiche del sistema, cioè la veduta
macroscopica della scienza.
Ora io temo che, nelle preoccupazioni
dei nostri educatori matematici, la logica in piccolo tenga troppo posto
in confronto alla logica in grande! Ciò dipende,in primo luogo, dalla
malintesa separazione che si suol fare da noi fra matematiche e fisica. Ed
inoltre dall'abito troppo analitico della maggior parte dei nostri
insegnanti, frutto anch'esso di un'educazione particolaristica.
A
mio avviso ciò che si deve richiedere ali'insegnamento matematico,
concepito come formativo delle facoltà logiche, è prima di tutto di
svolgere lo spirito di coordinazione, in quella forma che ho chiamato
macroscopica. Ciò esige che il maestro vigili continuamente a legare fra
loro le diverse parti del suo insegnamento : lezioni isolate I'una dall'
altra, capitoli succedentisi l'uno dopo l'altro senza che mai se ne
richiami la connessione, se pure accuratamente studiati nei più fini
particolari, mal gioveranno allo scopo.
Con questa osservazione
credo di mettere il dito sulla piaga più grave del nostro insegnamento,
non soltanto matematico. Troppe volte mi è occorso - per esempio - di
rilevare che gli insegnanti di storia affaticano inutilmente gli allievi
costringendoli ad apprender nomi, date, particolari minuti, che dovranno
esser dimenticati (oh benedetto fiume di Lete a cui dobbiamo la salute del
nostro cervello!) mentre non si curano di promuovere da parte loro la
ricostruzione semplificata dello sviluppo storico nelle sue grandi linee.
Una dannosa menzogna convenzionale sta alla base di questi metodi
didattici, ed ogni giorno se ne raccoglie il frutto nella ignoranza che ad
ognuno è dato constatare: si interroghi a i caso un giovane che ha finito
da qualche mese o da qualche anno gli studi liceali, se gli accada di
ricordare - non dico quei particolari più o meno insignificanti di cui
sopra ho discorso - ma soltanto quali furono le guerre principali da cui
fu travagliata l' Europa durante l'evo moderno, e - a larghissimi tratti -
quali ne furono le cause generali e Ie conseguenze!
Io ho fatto la
prova ripetutamente, e non mi è valso neppure il tentativo di suggerire a
qualche giovane una preparazione più razionale, con opportuni riassunti,
così da acquistare un minimum conservabile di cultura storica;
giacché il suggerimento non è stato accettato: infatti la cultura
richiesta è troppo poco, ma anche troppo, per l'esame!
Ciò
che ho detto per la storia vale, mutatis mutandis, per le
matematiche. Non giova sviluppare con impeccabile deduzione la serie dei
teoremi della geometria euclidea, se non si ritorni a contemplare
l'edifizio costruito, invitando i discepoli a distinguere le proprietà
geometriche veramente significative (p. es. la somma degli angoli d'un
triangolo e il teorema di Pitagora) da quelle che hanno valore soltanto
come anelli della catena. Quella specie di uguaglianza democratica che
qualche maestro pretende stabilire fra le proposizioni dimostrate, col
pretesto che tutto è importante e perciò di nulla si può perdonare
l'oblio, riesce soltanto a deformare le intelligenze privandole del lume
della valutazione, sicché - pigliando a prestito le parole d' un filosofo-
la scienza che si offre in tal guisa allo studioso si potrebbe dire
"l'infinita notte, in cui tutte le vacche sono
nere".
5. Tutto ciò io dicevo a
proposito dell'educazione logica. E di nuovo mi pare che più d'uno voglia
levarsi ad avvertirmi di un equivoco ; che la logica, per lui, ha un senso
più ristretto, ma anche più preciso; che egli intende parlare di quello
spirito d'inibizione onde la mente riesce a fissare concetti astratti
deducendone nuove proprietà da alcuni principii ben definiti, senza
bisogno di rievocarne l'immagino colla fantasia, aiutata magari da un
oggetto sensibile. Appunto per educare questo spirito logico, si chiede da
taluni la critica rigorosa delle definizioni e dei postulati, e - nello
sviluppo delle teorie - quella analisi del ragionamento esatto, che sembra
quasi io voglia sprezzare come "logica in piccolo".
Ma lungi dal
disprezzare "il microscopio", io so pure di quanto la scienza gli vada
debitrice. E le ricerche personali nel campo della critica, e il lavoro
compiuto per offrirne i principali resultati in una raccolta di scritti
specialmente rivolti agli insegnanti, mi dispensano da aggiungere qual
conto faccia di codesto ordine di questioni. Però, quando si tratta - non
più di preparare il maestro - bensì di portare la stessa critica nella
scuola media, occorre serbare almeno una savia misura: senza rinunziare in
modo assoluto ad educare nei giovani anche il più fine senso del rigore
logico, si ricordi in ogni caso la vanità dello sforzo che s'imponga al
discepolo in nome di esigenze che a lui non sia dato
comprendere.
Analisi raffinate che altri accetti come puro oggetto
di apprendimento mnemonico, perché - non afferrandone lo scopo - è
incapace di ricostruirle, nemmeno in parte, come cosa propria, perdono
affatto ogni valore di esercitazione logica.
Perciò, l'educazione
del senso logico dovrà sempre procedere per gradi, dal concreto
all'astratto: e del ragionamento astratto, non sorretto dall'intuizione,
si dovrà a poco a poco far sentire l'importanza, incominciando - per
esempio - dall'adoperare dimostrazioni per assurdo, dalle quali appunto la
logica trae la sua origine storica. Solamente al termine d'un corso di
geometria riguardando al sistema della scienza, gioverà spiegarne
l'organismo logico, rilevando il significato dei concetti primitivi e dei
postulati, coi quali si deve cominciare un trattato scritto (perché la
forma dogmatica compiuta dell'insegnamento razionale non consente lacune o
ritorni) ma non la lezione viva, che lascia dietro di sé quei principii,
avvertendo il discepolo che contengono soltanto una ricapitolazione
precisa di cose note, da richiamare di mano in mano che se ne presenti il
bisogno.
6. Al concetto dinamico
dell'insegnamento si affaccia da qualcuno un'obiezione che deve essere
esaminata. Si dice: anche certe cose difficili, che non è dato comprendere
coll'intelligenza in una tenera età, importa apprenderle, a ciò che
restino nella memoria e si richiamino più tardi dalla mente più matura:
tantum discimus quantum memoriae mandamus.
In nome di questo
principio si chiede ai giovanetti di imparare a memoria componimenti
poetici che coll'armonia del verso susciteranno nell'animo un indistinto
fremito musicale, prima che la bellezza delle immagini create dalla
fantasia artistica balzi viva nello spirito consapevole dello studente. E
ancora per lo stesso motivo, razionalmente si opina che lo studio delle
lingue classiche valga ad educare il senso logico in un' età in cui ogni
altro mezzo di esercitazione, fuori della grammatica, riuscirebbe
impossibile. Così pare che a torto abbiamo dispregiato l'insegnamento
passivo, che mira - suo modo - a sviluppare lo spirito, preparando nella
memoria i dati che esso avrà ulteriormente da elaborare.
Vi è in
quest'argomento qualcosa di vero, cioè che una educazione razionale può
preparare talune coordinazioni o associazioni mnemoniche, anche prima che
esse assumano il loro più alto significato come rapporti d'idee,
nell'intelligenza matura dello studioso. In ispecie nelle scienze fisiche
e matematiche, l'uso di una certa tecnica (disegno, esperimento, calcolo
numerico o letterale) costituisce una propedeutica necessaria a lavori
d'ordine più alto, dove - mancando il possesso degli strumenti - il
pensiero smarrirebbe la veduta di ciò che è essenziale raggiungere.
Ma non si creda che, memoria significhi pura ricettività dello
"spirito! Nel suo bei libro "Physiology of common life" (che oggi si ha il
torto di non leggere) il LEWES ha indicato la genesi dei riflessi nervosi:
questi atti che seguono immancabilmente come " risposte " a certi stimoli,
non sono che il residuo di atti inizialmente voluti, che - a poco a poco -
si sono fissati nell'evoluzione della vita dell' individuo o della specie.
Proprio questo fissarsi, dando origine a determinate coordinazioni di
movimenti dell'animale, è il fatto fondamentale della memoria organica che
riproduciamo consapevolmente in tutti quegli esercizii (come il nuoto, la
bicicletta o il pattinaggio) che implicano appunto un certo adattamento
mnemonico degli organi: qui infatti si tratta di ritrovare, come per
istinto, un equilibrio turbato, ripetendo quegli atti che imparammo a
compiere dapprima con uno sforzo cosciente della volontà. Ora anche la
memoria psicologica rientra nel nostro quadro più generale, come dimostra
l'analisi de " Les maladies de la mémoire " istituita dal RIBOT: anche in
questo caso la memoria non è un fenomeno ricettivo (lo stamparsi di certe
impressioni nella cera molle) ma un coordinamento di attività che,
ripetendosi, tende a divenire meccanico, cioè ripetibile ulteriormente
senza il pensiero.
Dunque l'importanza riconosciuta all'educazione
della memoria non contraddice, anzi conferma il concetto dell'insegnamento
dinamico.
Volete che il giovane studente di matematiche acquisti di
buon' ora il maneggio del calcolo algebrico, acciocché questo istrumento
non gli manchi poi nella risoluzione dei problemi che gli saranno
proposti? Consento che ciò sia utile insegnare il più presto possibile, in
un' età in cui ancora non si saprebbe comprendere i più vari usi a cui la
stessa algebra è chiamata: ma per raggiungere lo scopo dovete ancora
far lavorare il ragazzo ; bisogna spiegargli prima (con
esemplificazioni che egli stesso dovrà variare a volontà) quale sia il
significato delle " lettere " messe al posto di numeri, e poi fargli
osservare le regole di combinazione, quasi come un giuoco, che -con una
certa abilità - si riesce a rendergli discretamente interessante, e quindi
accettabile. Solo quando il discepolo avrà appreso a ripetere queste
combinazioni, in modo da riuscirvi senza più pensare, potremo dire che
egli ha acquistato il maneggio del calcolo, fissandolo nella memoria:
allora egli avrà costruito, per così dire, una macchina calcolatrice, che
successivamente il suo pensiero potrà adoperare a diversi fini i senza
essere costretto ogni volta a ritornare sui motivi delle associazioni già
fissate. Qui il pensiero vivo si svolge sul pensiero morto, da cui trae -
per così dire - una regola economica di condotta. Ma il pensiero morto non
fu travasato dalla testa del maestro a quella del suo ascoltatore; bensì
dovette vivere a sua volta nella fatica dell'esercitazione!
7. Ora, come faremo a mettere in
pratica la didattica dinamica, che fin qui si è cercato di spiegare come
criterio direttivo della discussione teorica?
Ho avuto la fortuna
di assistere a qualche lezione di aritmetica o di geometria pratica, in
cui il discente si metteva a conversare coi ragazzi facendosi - anche lui-
un poco ignorante, ricercando insieme con loro, suggerendo, a tentoni, la
via che essi stessi dovevano percorrere per guadagnare la verità. E,
mentre ammiravo l'intelligente attività della guida, trascinato anch' io
nell'esercizio della scolaresca animata, mi chiedevo perché lo stesso
metodo non si dovesse adoperare anche con alunni di età più matura....
perché no?, anche coi giovanotti che vengono a studiare alle nostre
università. Forse che non era questo il metodo di SOCRATE, ritratto al
vivo nei Dialoghi di PLATONE?
Il più grande vantaggio di questo
metodo è, a mio avviso, la sincerità, perché il postulato dell'ignoranza è
infinitamente più vicino al vero che la presupposizione di conoscenze già
sicure nella mente dell'allievo, da cui muove la lezione cattedratica.
A rischio di scandalizzare qualcuno, vorrei domandare perché si
usi d'interrogare l'allievo interdicendogli di guardare il libro di testo
(che pure qualche insegnante tiene davanti agli occhi, mentre altri,
pudicamente, gli ha ridato una scorsa prima della lezione). La domanda
pare ingenua e non è perché alle mie interrogazioni, che sono sempre
facili esempi o esercizi sul teorema spiegato, non vi è salute per chi non
ha capito (e dice di non ricordare) anche se gli si porge il vano sussidio
del libro! Il terrore del libro, diventa addirittura ossessione per i
docenti che sovraintendono all'esame di latino: ragazzi ricordatevi che
potete far uso del vocabolario, ma la grammatica è severamente proibita...
A farla apposta gli scolari han sotto il banco, la loro brava
grammatica... ma non per questo, ahimè!, vien fuori una traduzione latina
maggiormente corretta. Diamine! a che varrebbe affaticarsi tanto nello
studio di una lingua, se col vocabolario e la grammatica alla mano,
potessimo diventar tutti scrittori?
8. Ho discorso dell'arte d'insegnare e d'interrogare; molti
convengono circa la giustezza di questi criterii didattici; alcuni, certo,
non li hanno sentiti enunciare per la prima volta; perché dunque è tanto
raro di vederli messi in pratica? Non c'indugiamo a cercar pretesti, dando
tutta la colpa all'infingardaggine degli studenti (che appunto si tratta
di vincere) o all'obbligo di svolgere un dato programma con un orario
troppo ristretto ecc. ecc.
Confessiamo francamente che il compito
che ci è proposto è tremendamente, stavo per dire divinamente
difficile. Infatti se il nostro pensiero e la nostra parola debbono
muovere l'attività del discepolo, bisogna che qualcosa di vivo che è in
noi passi nello spirito di lui, come scintilla di fuoco ad accendere altro
fuoco. Ma per ciò occorre dunque che anche noi maestri - nell'atto
d'insegnare - ripetiamo, non già il resultato freddo degli studi fatti,
bensì il travaglio inferiore per cui riuscimmo a conquistare la verità,
ricreandone dunque la fatica nello spirito nostro, che si allarga e
trascina insieme la scuola. Vorrei bene spiegarmi su questo punto: la
fatica di cui parlo è reale, non finzione ad uso didattico; infatti non è
possibile che ripensiamo una difficoltà che una volta abbiamo vinto, senza
scoprire nello stesso problema qualche altra difficoltà, che si risolve in
una comprensione nuova e più alta; perché è falso che le cose elementari
su cui torniamo per insegnarle, sieno facili al confronto della scienza
superiore il cui possesso ci rende oggi orgogliosi davanti ai nostri
scolari; perché infine codesto possesso medesimo è dubbio e vano, ridicolo
l'orgoglio, se di fronte al discepolo ci presentiamo soltanto come
discepoli, a ripetere un po' più meccanicamente la vecchia lezione appresa
sugli stessi banchi, anziché come maestri, a recare una veduta nostra, più
chiara e più larga. Ma forse il senso delle cose eh'io dico riesce duro a
qualcuno dei lettori. Ci sono dunque diverse maniere di comprendere,
sicché non sia dato mai di riposarsi in una cognizione perfetta? E come
mai la scienza superiore (le matematiche trascendenti e sublimi che
abbiamo studiato negli anni dell'università) dovrebbero ritornare - in
qualche modo - a rischiarare la nostra mente, proprio quando stiamo
cercando di farci piccoli coi piccoli, sui banchi della scuola?
Rispondo: non vi è iato o scissura fra matematiche elementari e
matematiche superiori, perché queste si sviluppano da quelle, al pari
dell'albero dalla tenera pianticina. E come, riguardando l'albero, potremo
scoprire nella pianticina nuovi aspetti o comprendere caratteri di cui ci
era sfuggito il significato, così anche lo sviluppo dei problemi
matematici recherà luce sulle dottrine elementari in cui essi profondano
le loro radici. Ad una condizione però: che di ogni dottrina si studi le
origini, le connessioni, il divenire, non un qualsiasi assetto statico; e
però che un grado di verità più alto serva ad illuminare il più basso da
cui è uscito; che insomma - dopo avere studiato la scienza - ce ne valiamo
per comprendere la storia. Quale modo più largo di comprensione quale più
vasta esperienza didattica, che l'annodarsi dei problemi e l'urtarsi delle
difficoltà entro lo spirito di tutti gli studenti, che hanno faticato
prima di noi, nella scuola del mondo?
Bologna, Università
FEDERICO ENRIQUES |
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